I GIORNI PERDUTI – The Rune Trilogy
Nove giorni scomparsi dalla storia, cancellati con un colpo di mano dal Papa all’atto della riforma del Calendario gregoriano. Giorni in cui accadde qualcosa di così grave da dover essere eliminati da ogni registrazione.
Quale collegamento esiste tra la riforma del calendario giuliano, e gli esperimenti Top Secret realmente condotti dai nazisti sul controllo dello spazio-tempo?
Cosa lega le vicende di Giordano Bruno al gruppo degli Illuminati e alla cospirazione che ruota intorno al progetto di instaurare un Nuovo Ordine Mondiale sulla terra?
Chi si cela dietro il misterioso personaggio chiamato L’Osservatore a cui l’élite alla guida economica del mondo si inchina?
I più grandi misteri del nazismo, la macchina della memoria di Giordano Bruno, le tecnologie scientifiche più avanzate degli scienziati SS di H. Himmler, e una straordinaria scoperta denominata FUNZIONE GAMMA: è possibile descrivere con una funzione matematica complessa il passato e il presente dell’umanità?
Con il permesso dell’editore presentiamo un breve brano tratto dal romanzo, in cui il capo della Chiesa cattolica sta per intraprendere un viaggio straordinario, nel tempo, nello spazio, grazie alla macchina della memoria che giordano Bruno costruì effettivamente e che descrive nel suo libro “De Umbris Idearum”. Quello che accadrà è un evento il cui possente riverbero influenzerà gli eventi per i secoli a venire e porterà a cancellare nove giorni terribili, i giorni perduti…
Villa Mondragone. Roma.
Un anno prima della riforma del calendario.
23 settembre 1581. Sera
Gregorio XIII osservava con gli occhi lucidi il testo che aveva tra le mani; le pagine ingiallite di velino, i caratteri eleganti, tutto in quel libro pareva armonico, scorrevole, mirabile nell’eleganza formale. Le immagini luminose dipinte a mano e impreziosite da grana d’oro, lapislazzuli, nero, giallo e rosso aggiungevano un curioso tocco artistico a un codex che per sua natura era tutt’altro che un semplice libro.
Le mani tremanti del papa scorrevano pagina dopo pagina alla fioca luce della candela, le immagini non erano più arricchimenti formali ma, nel corso della lettura, si erano tramutate in formule matematiche e disegni tecnici che spiegavano le possibilità della nuova scoperta.
L’autore, Giordano Bruno, in quel momento in Francia, la definiva opera mirabilis, una cosa meravigliosa, parte della creazione e quindi degna di essere indagata.
Gregorio XIII scuoteva la testa leggendo il testo che era stato messo al bando dalla Chiesa di Roma. Nella sua mente un pensiero si faceva sempre più chiaro: Bruno stava sovvertendo l’opera di Dio sondando una parte del creato che diveniva metafisica e, cosa più pericolosa, rendeva disponibile a tutti una via per vedere il passato, il futuro e, forse, per cambiarne l’ordine naturale in modo da poter modificare lo stato della storia. Con quella macchina, Bruno poteva entrare a far parte della creazione stessa in un modo ingegnoso e terribile, poteva cavalcare le onde della storia dell’uomo, salendone gli apici e discendendone le valli, e poteva passare dall’una all’altra a proprio piacimento.
Gli scienziati più fedeli della Chiesa avevano esaminato il testo trovandolo attendibile in alcune parti, meno in altre, ma si parlava di cose che nessuno sulla Terra poteva conoscere. E questo li spaventava. Ma ora Bruno era andato troppo oltre. Certamente egli aveva costruito la macchina che descriveva, i disegni erano troppo chiari. La teoria poteva funzionare, anche se si basava su leggi che ancora non si comprendevano a fondo.
Il pontefice lesse per l’ennesima volta le stesse pagine finché giunse all’ultima. Poi chiuse il testo e pronunciò un Pater Noster, come per togliersi di dosso l’inquietudine che lo stringeva in una morsa. La preghiera meccanica non ebbe alcun effetto e Gregorio XIII si chiese se stesse agendo secondo la volontà di Dio. Presto i suoi pensieri passarono da Dio alla Chiesa che, essendo sua rappresentante in Terra, doveva imporre il proprio volere al mondo. Questa giustificazione gli portò un lieve conforto.
In quel momento fu sottratto alle sue riflessioni dalla voce del cardinale Sirleto che, senza far rumore, era appena entrato nella stanza.
«Santità… tutto è pronto. I dotti attendono solo voi per cominciare
l’esperimento.»
Il papa si massaggiò gli occhi stanchi e, con un sorriso di pura circostanza,
rispose: «Certo, andiamo.»
I due uscirono in silenzio verso la Sala delle Udienze, per l’occasione sigillata alla luce del sole e a orecchie indiscrete: ciò che stava per accadere in quel luogo era troppo importante perché qualcosa trapelasse a chi non fosse autorizzato.
Il capo della Chiesa Cattolica e il suo assistente si trovarono di fronte a sette alti funzionari e studiosi, dottori, medici, scienziati, tutti uomini di assoluta fedeltà e fiducia. Uno di loro, che avrebbe diretto l’esperimento, si avvicinò al papa e gli diede il benvenuto inchinandosi.
Gli fece spazio invitandolo a sedersi presso una tenda che celava un macchinario.
Al cenno del papa la tenda venne rimossa e i cuori di tutti cominciarono a pulsare più forte, mentre l’atmosfera si faceva pesante, oppressiva, densa di ansia e timori di ogni specie.
Ciò che stava per avere luogo tra quelle quattro mura violava i principi conosciuti della philosophia naturalis. Con quell’esperimento gli uomini presenti al cospetto del pontefice cominciavano un cammino nuovo e pericoloso, inoltrandosi in sentieri oscuri, pieni di insidie, la cui meta era al di fuori di ogni comprensione.
Dal suo scranno d’oro e velluto Gregorio XIII alzò la mano: «Procedete.»
Il temporale che si era scatenato sulla villa papale non faceva presagire nulla di buono agli uomini riuniti per l’esperimento. Gregorio XIII osservava i suoi fedeli studiosi approntare la macchina e si chiedeva se stesse facendo la cosa giusta. Il cardinale Sirleto lo notò e gli si rivolse con le consueta premura: «Santità, va tutto bene?»
Il papa lo guardò con gli occhi acquosi e le rughe della vecchiaia. Trasse un sospiro e gli confidò: «Amico mio, mi siete sempre stato vicino…» Sirleto abbassò il capo annuendo con deferenza. Il pontefice fissò la macchina di Bruno e continuò: «A volte ci chiediamo quali siano i bivi della vita, le porte che si stanno aprendo, le porte che devono rimanere chiuse. Le scelte che facciamo, quelle che non dovremmo fare. Anche il papa a volte ha delle perplessità, la luce di Dio non sempre è così evidente a un uomo. Se questa macchina funziona… se fosse possibile vedere quali scelte faremo, se potessimo tornare indietro e non fare scelte sbagliate… Se avessimo la facoltà di aprire le porte del futuro, del passato, e cambiare il presente… Quello che stiamo per fare è una deviazione da ciò che è naturale. Ci siamo detti più volte che era giusto provare, che dobbiamo farlo noi prima di altri. Prego il Signore di darmi la forza di compiere ciò che è giusto.»
Sirleto lo osservò con maggiore attenzione: il capo della Chiesa doveva essere forte. Soffriva nel vedere nel vicario di Cristo quella continua debolezza, d’altronde era solo un uomo.
Gregorio XIII era davanti a quel bivio, e lui doveva consigliarlo come aveva sempre fatto, sostenerlo nella sua missione: «La luce del Cristo saprà guidare il suo vicario in ogni cosa, e soprattutto in questa occasione così importante. E io sarò qui, accanto a voi. Come
sempre.»
Il papa sorrise, ma era un sorriso teso che si perse nelle rughe preoccupate che gli segnavano il volto. Intanto, il responsabile dell’esperimento aveva rimosso il telo di cotone sulla macchina e stava spingendo il tavolo su ruote, su cui era stata posta, di fronte al papa. A ben guardarla non era niente di impressionante: una semplice cassa di legno con una manovella collegata a due ruote dentate interne, in grado di variare le velocità relative dei due dischi. Il gesuita che l’aveva studiata e realizzata era pervaso da un forte timore: se quello che il libro di Bruno asseriva fosse stato vero, allora quello era l’esperimento più pericoloso mai compiuto. E, forse, il papa avrebbe dovuto impedirlo. Ma oramai non c’era più spazio per i ripensamenti. Non c’era più tempo per tirarsi indietro.
Così cominciò a far girare la manovella, spostando le pesanti ruote di legno e ottone, mirabilmente realizzate. Il sacerdote avvertì di stare a distanza. Temeva che qualcuno potesse farsi male, soprattutto il papa. Tutti si fecero indietro, istintivamente, mentre il dotto studioso, con la fronte imperlata di sudore, faceva girare i dischi sempre più velocemente, producendo un sibilo intenso che coprì il rumore dei tuoni all’esterno.
Secondo quanto aveva appreso dalla lettura del testo di Bruno, la macchina funzionava azionando una parte del cervello sopita da molto, molto tempo: gli occhi ricevevano un segnale che veniva codificato dall’encefalo e passava attraverso il nervo ottico direttamente a una locazione di memoria la cui porta era chiusa da millenni, da eoni. Le particolari simbologie riportate sulle due ruote, quando giravano secondo la velocità descritta da Bruno, procuravano una sorta di oblio della mente e la graduale apertura della porta. Il frate di Nola, che aveva riportato parte delle sue esperienze dirette nel suo studio, asseriva di avere avuto una visione: un ambiente luminoso, bianco, una dimensione particolare, la soglia di un nuovo straordinario luogo.
Il papa, seduto sullo scranno, cominciò a percepire una strana e tremolante luminescenza intorno, come la fiamma di una candela che gettava ombre cangianti. In quello stato, ancora a metà della fase di transizione nella nuova dimensione, come aveva letto nel libro
di Bruno, riusciva ancora a vedere il mondo reale ma le ombre che scorgeva non erano percepite dagli altri uomini nella stanza; poco a poco stava varcando la soglia.
Fissava le due ruote che procedevano sempre più veloci sinché si stabilizzarono, mediante un meccanismo interno, su una velocità prestabilita. Un lampo illuminò il suo viso per metà: il terrore più puro si stava impadronendo di lui, che aveva già provato nella segretezza del suo laboratorio a vedere oltre l’immaginabile, provando per conto suo la macchina, ma rinunciandoci quasi subito per paura. E ora provava lo stesso timore, evidente nella sua espressione allucinata, mentre il dotto di corte faticava nel girare le ruote. I dischi con i simboli, di cui gli studiosi non riuscivano a comprendere il significato, vorticavano riflettendo sul soffitto e sui muri frammenti di luci, immagini, a tal punto che l’intera stanza sembrò muoversi e ruotare.
Gregorio XIII emise un gemito mentre vedeva il mondo girare intorno a lui e il suo scranno con esso, in una vorticosa rotazione senza controllo (…)
(…) Copyright Pierluigi Tombetti – Arkadia Editore 2015