I Monuments men e l’oro del III Reich

Il film THE MONUMENTS MEN, con George Clooney, è uno di quei film che, seppure non esaltanti, meritano di essere visti, anche perché raccontano una storia poco o pochissimo conosciuta. Considerato il fatto che che recentemente vi sono state domande riguardanti non solo la razzia delle opere d’arte da parte dei tedeschi ma anche l’oro portato via da Hitler da tutte le banche centrali dei paesi occupati.

Chi erano i “monuments men”?

I Monuments Men costituivano gli uomini scelti del team il cui nome per intero era: Monuments, Fine Arts, and Archives section of the Allies, un corpo di personaggi molto lontani dall’idea del GI Joe americano, e non poteva che essere così, visto che si trattava di studiosi, ricercatori, archivisti, tra i migliori conoscitori di opere d’arte disponibili, la cui missione era ritrovare le opere d’arte razziate dai tedeschi in tutta Europa e restituirle ai legittimi proprietari.

Il 19 marzo 1945 Hitler firmò il decreto Nerone secondo cui tutte le infrastrutture, ponti, fabbriche nel territorio del Reich dovevano essere distrutte per fare terra bruciata di fronte all’avanzata degli alleati.. Già alla liberazione di Parigi (25 agosto 1944) Hitler aveva dato ordine di far saltare la Tour Eiffel e la maggior parte di Parigi, ma l’ordine giunse in ritardo e la città fu salva.

Il film descrive la costituzione del team, il loro (brevissimo) addestramento militare e la ricerca in Austria e Germania dei tesori predati da Hitler, che desiderava costituire a Linz un Fuehrermuseum, omaggio al capo supremo dei tedeschi, celebrato dall’arte europea. Se non ci fosse stato George Stout (nel film curiosamente il nome viene cambiato in Frank Stokes, interpretato da G. Clooney) che con la sua volontà inflessibile dovette scontrarsi nei primi anni di guerra con vari alti ufficiali che gli negarono il loro aiuto e fu solo alla fine della guerra che riuscì a costituire il suo gruppo. Nel dicembre del 1944 i Monuments Men erano 17, ma nel film si seguono le vicende solo di pochi di essi.

Come spesso accade, una causa fortuita portò a uno dei ritrovamenti più fortunati: fu grazie al mal di denti di uno di essi che il team giunse alle miniere di Altaussee: nel film la storia è descritta molto bene. Il dentista presenta il nipote come una persona in grado di aiutarli nel loro compito, non sospettando che in realtà egli era fuggito dalla Francia occupata ed era un collaborazionista. Nella sua casa in bella mostra vi erano quadri originali di inestimabile valore. L’uomo aveva aiutato Goering a razziare le opere a Parigi e dintorni e grazie alle sue indicazioni i Monuments Men giunsero al grande deposito di Attaussee, il 21 maggio 1945, dove decine di chilometri di gallerie celavano : 6.577 dipinti, 2.300 disegni e acquerelli, 954 stampe, 137 sculture, 129 elementi di armature o di armi varie, e mobili, tappeti, libri e moltissimo altro materiale tra cui la Madonna di Bruges.

L’ORO DEL III REICH

Strettamente connessa alla vicenda dei Monuments Men è la storia del tesoro di Hitler che merita un approfondimento.

Berlino, sabato 3 febbraio 1945: 950 velivoli alleati sganciano oltre 2.200 tonnellate di bombe sulla città. Il bilancio finale parla di 2000 morti e oltre 120.000 senzatetto. La città è in fiamme, la maggior parte dei quartieri rasa al suolo nel più grave bombardamento della seconda guerra mondiale.

Walther Funk, il direttore della Reichsbank, prende una fatidica decisione: il cuore del sistema finanziario tedesco deve salvare la riserva aurea che permetterà alla Germania di risorgere nel dopoguerra.

Oltre 100 tonnellate d’oro e mille sacchi di banconote vengono velocemente stipati in 13 vagoni ferroviari e trasferiti nella miniera di sale di Kaiseroda, nell’area di Merkers, a circa 320 km dalla capitale. Il nascondiglio pensato da Funk sembra buono: 800 metri di profondità con 50 chilometri di gallerie avrebbero reso la vita difficile a qualunque ladro.

Ma la ricchezza acquisita dalla Germania durante la seconda guerra mondiale avrebbe subito un destino diverso dalle speranze dei vertici del III Reich. Un destino i cui meccanismi oscuri sono ancora oggi, a sessant’anni da questi avvenimenti, ben lontani dall’essere chiariti.

Già dopo il 1933, anno in cui Hitler divenne cancelliere, molti ricchi ebrei cominciarono a trasferire in Svizzera i propri risparmi che sovente raggiungevano cifre elevatissime.

Con l’entrata in vigore delle leggi razziali, Hitler cominciò una vera e propria politica di estorsione ai danni degli ebrei: capitava sempre più spesso ai perplessi cassieri delle banche di Berna o Zurigo, di trattare con un uomo impaurito seguito da due individui alti e decisi, di solito membri delle SS, che annunciava, poco convinto, di voler ritirare l’intero ammontare del suo conto personale, per poi vedere rientrare discretamente il denaro attraverso canali tedeschi in altri conti appartenenti al Reich.

In questo modo, ricchezze enormi passarono direttamente dagli ebrei nelle mani di Hitler che li utilizzò per accrescere la potenza bellica della nazione: Himmler si incaricò di gestire i beni dei deportati nei campi di sterminio raccogliendo addirittura le protesi d’oro e rifondendole sotto forma di lingotti regolarmente marchiati con il simbolo della Reichsbank.

UNA RAZZIA CINICAMENTE PIANIFICATA

Durante la guerra, la sistematica razzia compiuta dalle forze tedesche nei territori occupati e orchestrata con eccezionale efficacia da Goering e dai governatori delle province portò la banca centrale di Berlino a ospitare nei suoi caveau la più colossale fortuna di ogni tempo, in precedenza appartenuta a paesi sovrani: all’atto dell’invasione, solerti funzionari del Reich entravano nelle banche centrali dove erano custodite le riserve auree e le ricchezze nazionali, le depredavano catalogando ogni cosa con meticolosa precisione e spedendo il tutto nella banca centrale tedesca a Berlino.

La medesima operazione criminale venne compiuta in tutta Europa, dalla Polonia, alla Russia, in Ungheria, in Francia, non ci fu paese la cui riserva monetaria e aurea non fosse confiscata; allo stesso tempo la Germania si appropriava di quadri, gioielli, ogni tipo di bene artistico che poteva essere spedito in Germania, derubando sistematicamente l’Europa con quello che è unanimemente riconosciuto come il più grande furto collettivo che la storia ricordi.

Molte di quelle ricchezze prendevano nei mesi successivi la via delle banche svizzere, come la Kantonalbank di Zurigo o le banche di Ginevra e Berna, i cui sotterranei corazzati nascondono a tutt’oggi segreti così terribili e tesori così straordinari da far impallidire chiunque.

Lo scopo di questa operazione era essenzialmente il riciclaggio di oro rubato e la sua conversione in denaro fresco, liberamente utilizzabile.

Inutile dire che i banchieri svizzeri erano perfettamente a conoscenza dell’immoralità di tale operazione, ma ieri come oggi ogni senso morale si estingue velocemente di fronte a lingotti a 18K.

All’inizio del 1945, preoccupati per la sorte avversa del conflitto, i vertici del partito nazista decisero di cominciare a far sparire le ricchezze di cui si erano appropriati, per sottrarli agli alleati; l’idea di Funk fu seguita alla lettera e la miniera di sale di Merkers divenne il più grande deposito di oro e oggetti d’arte mai realizzato.

Il 4 aprile 1945 la terza armata americana guidata dal Generale Patton, nella sua ormai inarrestabile avanzata raggiunse la regione di Merkers e come spesso accade in questi drammatici frangenti, un caso fortuito portò alla scoperta del tesoro dei nazisti: i soldati alleati incontrarono alcuni civili francesi, tra cui due donne deportate.

Una di esse, mentre veniva accompagnata a un punto di incontro nella campagna tedesca con altri rifugiati, indicò ai Monuments Men che voci insistenti segnalavano in quella zona, all’interno della miniera di sale, la presenza di un deposito segreto.

Il team di studiosi esplorò la miniera e a 650 metri di profondità trovò in una galleria 550 sacchi contenenti oltre un miliardo di marchi. Sospettando che il vero tesoro si trovasse dietro la porta d’acciaio che sbarrava loro il passo, come si vede nel film, la forzarono e al di là di essa fu rinvenuto il vero deposito della Reichsbank, uno straordinario tesoro che andava oltre la più fervida fantasia dei suoi scopritori: 7000 sacchi contenenti 8527 lingotti marchiati a fuoco col simbolo della banca centrale tedesca, migliaia di monete d’oro francesi, svizzere e americane oltre a milioni di banconote.

Centinaia di casse erano state stivate in ordine approssimativo; all’apertura del coperchio rivelarono fogli di argento e oro derivato dalla fusione di protesi dentarie reperite nei campi di concentramento e di oggetti d’oro razziati in ogni nazione occupata dall’esercito tedesco. Patton diede ordine di stoccarli in contenitori militari adatti e di trasferire il tutto nei sotterranei della Reichsbank di Berlino.

Hitler, consigliato da alcuni fidati collaboratori, negli ultimi giorni di guerra, poco prima della sua morte, diede ordine di seguire l’esempio della Gestapo che stava nascondendo in Baviera il proprio tesoro, e fu così che altri due treni, carichi del rimanente 6,83% del tesoro nazionale, si mise in marcia per Monaco.

I bombardamenti alleati avevano troncato le vie di comunicazione più importanti e i treni impiegarono quattordici giorni per coprire la distanza di 800 chilometri fino a Monaco.

Nonostante la fama di incorruttibilità degli impiegati della Reichsbank, un collega di Funk, Hans Alfred von Rosenberg-Liminski, fece trasferire alcuni sacchi in un villaggio sperduto nelle alpi della Baviera.

Inutile dire che i sacchi e varie scatole contenenti preziosi non furono più ritrovate; altri collaboratori di Funk seguirono l’esempio di Rosenberg-Liminski: furono sottratti lingotti e banconote per milioni di dollari, di essi non si ebbe più notizia.

Funk fu arrestato poco dopo e processato a Norimberga e con lui alti gerarchi nazisti insieme ai loro tesori personali.

La commissione d’inchiesta per il tesoro rubato registrava l’ammanco di circa 3,5 milioni di dollari (valore del 1945, al giorno d’oggi da moltiplicare per gli oltre sessant’anni che ci separano da questi avvenimenti).

Malgrado l’eccezionale risolutezza del generale Patton, la cui intransigenza in materia di furto divenne proverbiale (1), si registrarono appropriazioni indebite da parte di ufficiali americani: si trattava di ricchezze immense e nel caos che regnava in Germania nel 1945 la tentazione poteva assalire il più inflessibile soldato.

Uno dei casi più recenti riguarda l’entrata nei canali internazionali di vendita di oggetti d’arte di una serie di manoscritti tra cui un vangelo di Marco splendidamente miniato risalente al IX secolo. Il proprietario, Joe T. Meador, un ex tenente dell’esercito, era riuscito a trafugare il codice insieme a reliquiari, crocefissi e oggetti di squisita fattura medievale, e a spedirli in una cassa anonima in madrepatria, dove erano rimasti per oltre cinquant’anni. Alla morte dell’uomo gli eredi presentarono il piccolo tesoro a una casa d’aste Svizzera, riuscendo a venderlo nel 1990 per svariati milioni di dollari: in seguito alle indagini del Fisco e dell’FBI e a una lunga battaglia legale, gli oggetti tornarono alla Chiesa tedesca di Quedlimburg, dove erano stati sottratti.

Cinque anni dopo il governo austriaco restituì un preziosissima collezione di quadri appartenuta alla comunità ebrea di Vienna: erano rimaste per cinquant’anni tra la polvere del monastero di Mauerbach.

La ricerca dell’oro dei nazisti prese però strade tortuose già nell’immediato dopoguerra, strade le cui propaggini portarono gli inquirenti verso due precise direttive: la Svizzera e il Vaticano.

LA CAMERA D’AMBRA

Un altro mistero che ha appassionato e appassiona tuttora studiosi e cercatori di tesori, oltre a produttori televisivi e cinematografici, riguarda la così chiamata camera d’ambra, una splendida decorazione parietale completamente in resina naturale, che fu donata nel 1716 da Federico Guglielmo di Prussia allo zar Pietro il grande che la installò in uno dei palazzi nei pressi di S. Pietroburgo.

Quando i nazisti invasero la Russia pretesero la restituzione della camera d’ambra e l’ottennero in breve tempo. Fu installata nel castello di Koenigsberg dove rimase fino al massiccio bombardamento alleato che nel 1944 rase al suolo la città. Della camera d’ambra non si trovò più traccia, anche se voci non confermate indirizzavano le ricerche ad una nave nazista poi affondata da un sottomarino sovietico.

Le ricerche degli storici si rivolsero anche in altre direzioni, per esempio presso una miniera tedesca che al momento dell’esplorazione da parte degli investigatori esplose misteriosamente. Anche se di frequente vengono proposte nuove tesi, al momento nessuno sa dove si trovi la camera d’ambra degli Zar.

IL RUOLO DELLE BANCHE SVIZZERE

La commissione costituita a Washington nel primo dopoguerra, formata da USA, Francia e Inghilterra in rappresentanza di altre nazioni, sulla base di documenti e informazioni precise invitò il governo svizzero a rendere l’oro nazista ai legittimi proprietari, facendo esso parte delle riserve auree nazionali dei paesi occupati durante il conflitto.

Nel maggio 1946, al termine di sessantotto giorni di infuocate indagini e con i legali svizzeri che si arrampicavano letteralmente sugli specchi per sostenere la neutralità della nazione, alla Confederazione Elvetica fu imposta la restituzione di 250 milioni di franchi, equivalenti a 52 milioni di dollari, che sarebbero stati distribuiti alle rispettive nazioni.

Non fu fatta eccessiva pressione sulla Svizzera, da tutti ritenuta conscia responsabile del riciclaggio dell’oro rubato (2) poiché era convinzione unanime che solo con l’aiuto delle sue banche l’economia dei paesi d’Europa sarebbe potuta ripartire e si sarebbe potuto dare inizio alla ricostruzione.

Negli anni che seguirono, molti parenti di vittime dei campi di concentramento vennero a ritirare i risparmi dei congiunti ma invariabilmente si sentirono richiedere un certificato di morte che non potevano esibire perché non era prassi dei campi emettere tali documenti.

Il 21 ottobre 1946, sotto la guida dall’agente DIA Emerson Bigelow, una squadra speciale dell’intelligence statunitense appurò da fonti sicure e documenti legali che in seguito al crollo della Germania nazista una enorme quantità di denaro, pari a oltre 170 milioni di dollari del 1945 (con svariate centinaia di milioni ulteriori di interessi maturati) passò nelle casse del Vaticano.

I documenti del rapporto Bigelow sono stati declassificati nel dicembre 1996 e hanno portato ad ulteriori indagini da parte dell’amministrazione Clinton.

L’ex presidente americano istituì una commissione, presieduta dal sottosegretario Stuart Eizenstat, il quale giunse a conclusioni analoghe a quelle di Bigelow e della Commissione Bergier, istituita in anni recenti dalla Svizzera per far luce sulla scomparsa dell’oro e il riciclaggio compiuto dalle banche elvetiche. L’evidenza dei documenti e delle testimonianze portò al riconoscimento che le banche sapevano ogni cosa e portarono alla luce di uno dei più scandalosi furti perpetrati da una nazione ai danni dei suoi cittadini, in cui incredibilmente il Vaticano appariva come principale attore.

L’ORO DEGLI USTASHA

Durante le Seconda Guerra Mondiale, la Croazia si alleò con Hitler e un governo fantoccio messo in piedi dagli uomini del Führer chiamato governo degli Ustasha, si incaricò di eliminare oltre 500 mila cittadini serbi, ebrei, rom e chiunque altro fosse inviso al potere. Si seguiva la prassi tedesca; all’atto dell’assassinio venivano requisiti i beni dell’individuo e convertiti in oro o valuta forte: in totale si calcola che il tesoro della Croazia fosse valutato intorno a 200 milioni di dollari del tempo.

Nei primi anni della guerra, vescovi cattolici in Croazia realizzarono centinaia di conversioni forzate, molti alti prelati furono direttamente collegati ad operazioni di sterminio etnico e di riciclaggio, tra cui il francescano Padre Miroslav Filipovic-Majistorovic, comandante di un campo di concentramento.

L’arcivescovo cattolico Stepinac benedì pubblicamente il criminale genocida Pavelic e così via in svariati casi ben riportati.

Verso la fine del conflitto, vedendo persa ogni prospettiva di vittoria, il governo Ustasha versò la somma nelle casse dello Ior, il banco Vaticano che diventerà in seguito tristemente famoso per riciclaggio, corruzione e attività connesse a quelle dei banchieri Licio Gelli, Calvi e altri appartenenti alla loggia P2.

Molti del governo Ustasha furono accolti a braccia aperte dal papa e furono nascosti, e lo sono ancora se non sono già morti, all’Istituto S. Girolamo, un seminario che ricevette in cambio ampi finanziamenti dai criminali croati.

Secondo il rapporto Bigelow ed Eizenstat, il Vaticano favorì la fuga di migliaia di criminali nazisti in collaborazione col governo Ustasha che si rifugiò a Roma, protetto presso vari monasteri.

Al momento la documentazione del governo Ustasha con le ricevute dei versamenti e le prove definitive sono conservate nell’Archivio Segreto Vaticano e quindi non consultabili, nonostante da più parti, compreso l’ex presidente Clinton, si sia cercato di accedervi.

Nel mio prossimo libro (uscirà a ottobre/novembre 2014, I Segreti di Vaticano – La Santa Sede e il nazismo) ho approfondito molto lo studio di queste tematiche per evidenziare gli stretti rapporti anche finanziari che legavano il nazismo, e in questo caso il regime croato ustasha a Pacelli (ora al soglio pontificio come Pio XII). In pratiche le casse vaticane incamerarono buona parte dell’oro tedesco proveninete dalle otturazioni d’oro e dalle fedi nuziali degli ebrei, oltre che dai loro conti personali. Uno scandalo a cui la Chiesa non risponde adeguatamente nonostante le forti tensioni internazionali da parte delle associazioni dei familiari degli ebrei periti nei campi di sterminio.

IL LAGO TOPLITZ

Nel 1945 i nazisti in fuga affondarono nel lago Toplitz, in Austria una serie di casse il cui contenuto ha da sempre infuocato la fantasia di storici e romanzieri.

Fu solo nel 1999 che un finanziamento del World Jewish Congress permise a una spedizione di immergersi nel lago. Il risultato di trenta giorni di ricerche furono i resti di legno di svariate casse appartenute all’esercito tedesco.

Una spedizione più recente fu realizzata dal colosso televisivo CBS grazie alla testimonianza di un sopravvissuto che aiutò i nazisti a gettare le casse nel lago. Grazie all’impiego di mini sommerigibili con telecamere si portarono alla luce migliaia di banconote, dollari e sterline del tempo, stampate illegalmente in Germania, una delle ultime armi segrete con le quali il III Reich immaginava di far crollare le economie inglesi e statunitensi.

Nel 1945 ve ne erano milioni già in circolazione in tutto il mondo, a tal punto che la Bank of England fu costretta a ridisegnare la propria carta moneta.

Il 20% dei tesori d’arte razziati nella sola Francia non è ancora stato recuperato: l’evidenza dei fatti mostra che con tutta probabilità ora rallegra le giornate di molti ricchi collezionisti in ogni parte del mondo. La Svizzera, infatti, possedeva un mercato internazionale d’arte in grado di riciclare immediatamente e in modo indolore le ricchezze artistiche rubate da Hitler.

Alcuni ricercatori, tuttavia, seguendo le piste indicate dagli indizi, sono convinti che molte di queste opere giacciano ordinate sul pavimento dei supercorrazzati caveau di banche come la Kantonalbank di Zurigo, o di quella che fu la Bank of International Settlements, o anche una delle banche nelle vie principali di Berna e Ginevra.

Tutte queste, infatti, contribuirono a riciclare e quindi far sparire il tesoro dei nazisti, il più incredibile furto legalizzato della storia che portò via le riserve auree a dieci paesi d’Europa e le ricchezze personali a milioni di individui.

L’ORO DI ROMMEL

Il tesoro perduto di Rommel è una riserva di oro, pietre preziose e presumibilmente sacchi di banconote provenienti dal Nord Africa che si suppone sia stato gettato in mare o nascosto in una caverna in Corsica nel 1943, in seguito alla disfatta dell’Afrika Korps del maresciallo del Reich Erwin Rommel nel continente africano.

Già dagli anni sessanta del secolo scorso, le voci insistenti sull’esistenza di un tesoro in Corsica spinsero alcuni treasure hunters alla ricerca sistematica dell’oro nazista. Nonostante vari tentativi, il tesoro di Rommel non è mai stato trovato, ma è piuttosto probabile che il maresciallo tedesco sia riuscito a nascondere un discreto quantitativo di oro e diamanti; molti depositi del genere emersero in Germania, Austria, in alcuni campi di sterminio e presso abitazioni sperdute in Baviera; in questi casi si trattava però di pochi lingotti fatti sparire da soldati o addetti alle operazioni logistiche di stoccaggio del tesoro dei nazisti.

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 Note:
1. Tra i subalterni rimase famosa la frase: “Non voglio che si dica che Patton si sia appropriato anche di una minima parte di quel tesoro.”
2. Ulteriori elementi e documenti venuti alla luce durante gli incontri di Washington dimostrarono chiaramente il ruolo consapevole dei banchieri svizzeri che conoscevano la provenienza dell’oro e delle opere d’arte inviate nella loro nazione dal III Reich. © foto d’epoca www.archive.com

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